Come dice il nome stesso, la START UP è un’impresa che si caratterizza per l’obiettivo di crescita, preferibilmente una crescita rapida, molto veloce. Ciò è meno vero in Europa rispetto agli Stati Uniti, e ancor meno vero in Italia, salve rare eccezioni.
Alla data del 30 giugno 2020 abbiamo oggi in Italia ben 11.496 start up; sono start up il 3,1% delle nuove società di capitali. Il 19,6 % delle start up è localizzato a Milano, un ulteriore 10,2% a Roma. Le altre sono distribuite più o meno uniformemente sul territorio.
Solo il 18% delle start up sono partecipate prevalentemente da giovani under 35: il dato vero è quindi che in Italia la start up è prevalentemente costituita e sviluppata da soggetti con una certa esperienza, di lavoro o di impresa. Oltre a non essere fenomeno prettamente giovanile (nonostante la prevalenza dei giovani nei concorsi più o meno ufficiali), è ancor meno un fenomeno femminile, in quanto le socie di start up sono soltanto il 13,2% della popolazione totale dei soci di start up. La start up in Italia non è un fenomeno dove siano protagonisti gli stranieri in Italia: le start up a prevalenza straniera sono soltanto il 3,6% (contro il 9,1% delle imprese “normali”).
La dimensione media della start up in Italia è quella della micro impresa. I valori medi per i tre parametri tipici del fatturato, dell’attivo di bilancio e del numero di addetti, sono, rispettivamente, di 163 mila euro di valore della produzione, 296 mila euro di attivo di bilancio e di 6 addetti. Valori comunque di tutto rispetto, se si considera che, fisiologicamente, quando le start up crescono divengono imprese normali, o tutt’al più, in Italia, entrano nel novero delle PMI c.d. innovative.
Tuttavia, il fatto che il valore di fatturato mediano sia notevolmente più basso, ovvero 32 mila euro, fa capire come la gran parte delle start up rimanga con numeri da stadio iniziale/preliminare, mentre i numeri delle start up importanti si aggirano tra i 350 e i 500 mila euro di fatturato.
Dal punto di vista dei risultati, il 51,8% delle start up chiude il bilancio in perdita, a fronte del 32,8% delle società di capitali italiane “normali”. Ma se andiamo a vedere le start up più interessanti, per esempio filtrando soltanto quelle non in perdita, vediamo che le performance sono notevolmente superiori a quelle della media delle società “normali”. Il ROI medio è del 12% (rispetto al 6%), il ROE del 26% (rispetto al 17%), il VALORE AGGIUNTO di 36 centesimi per euro (rispetto ai 28 centesimi per euro delle “normali”, e questo nonostante i livelli fisiologicamente bassi di occupazione).
E questo nonostante gli elevati livelli di investimenti, con particolare focus sugli assets immateriali (ricerca e sviluppo, software i principali).
Gli strumenti che l’ordinamento italiano mette a disposizione delle start up sono molti e piuttosto importanti: a favore dell’equity, la detrazione fiscale del 50% per gli investitori in capitale di rischio e il particolare regime di favore delle stock option; a favore dell’accesso al credito, la garanzia gratuita all’80% del Mediocredito centrale, senza valutazione del merito di credito; nell’aspetto amministrativo, minori oneri di costituzione (che può avvenire senza atto pubblico notarile) e di funzionamento (esenzione da imposta di bollo, diritto camerale, e altri piccoli tributi amministrativi), flessibilità di variazioni statutarie, oltre a facilitazioni nell’accesso alla finanza agevolata, nell’emissione di strumenti finanziari atipici, nella flessibilità del lavoro e dei meccanismi retributivi, nella gestione del crowdfunding.
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